L’umanità annegata

Articolo di Luigi Manconi pubblicato su La Stampa il 29 dicembre del 2022

Il decreto legge Sicurezza, approvato ieri dal Consiglio dei ministri, sull’attività delle organizzazioni non governative dà la misura di quanto possa essere profondo e irreparabile lo scarto tra la Vita e la Norma, tra i sentimenti e i movimenti umani e la legge, tra i bisogni primari, quali la sopravvivenza e la libertà, e i codici e i regolamenti. La tentazione ricorrente dei governi conservatori e reazionari è di colmare quello scarto attraverso misure d’autorità, finalizzate a imporre l’ordine e a controllare i conflitti. Sembra essere questo il motivo ispiratore del provvedimento governativo sulle Ong.

La posta in gioco è il soccorso in mare e, da millenni, questo richiama una fondamentale questione di vita e di morte. La possibilità, cioè, di sottrarre al mare una esistenza umana o di abbandonarla a esso. Tra le due opzioni non c’è una mediazione possibile né un compromesso di sorta. E scegliere sempre e comunque la salvezza di una vita significa scegliere la civiltà, perché – questo è il punto – il diritto al soccorso fonda l’intero sistema dei diritti universali della persona. Questo si basa, infatti, sul principio e sul vincolo della reciprocità: io salvo te perché so che domani, se la mia vita fosse in pericolo, tu salveresti me. È la base stessa del formarsi della comunità umana, del sistema di relazioni interpersonali, quello che segna il passaggio da individuo isolato a individuo sociale. È questa la ragione che dovrebbe indurre a trattare la materia delle Ong del mare con il massimo senso di responsabilità. Cosa che il governo non ha voluto fare.

Da sempre, la storia e la geografia e, poi, l’immaginario letterario, quello cinematografico e quello della musica popolare ci hanno consegnato immagini tragiche dei naufragi: il precipitare in mare, l’affondare, i polmoni che si riempiono d’acqua, il boccheggiare, i corpi che si gonfiano e che galleggiano, le mani che si avvinghiano ai resti delle imbarcazioni, ai salvagente, ad altre mani. E, ancora, i tratti “più moderni” del disastro: la pelle che si ustiona e si decompone, bruciata dalla miscela di carburante e acqua salata, i bambini serrati in un abbraccio alle proprie madri come figure di un sepolcro sottomarino o abbandonati su spiagge remote come relitti. Per converso, il naufragio sono braccia che si tendono, soccoritori che si lanciano in mare, scialuppe e giubbotti di salvataggio: è un’attività che richiede cuore e mente, forza e intelligenza e coraggio.

Tutto questo nel decreto legge del governo viene ridotto a dispositivo burocratico, a un sistema di proibizioni e divieti, destinato a tradursi – nel caso di violazioni – in un apparato di multe, sanzioni, sequestri e confische. L’attività di salvataggio viene bloccata e incapsulata dentro una gabbia rigida, che palesemente sembra aver dimenticato quello che dovrebbe essere il suo scopo essenziale. Ossia salvare tutte le vite umane che è possibile salvare. Come spiegare altrimenti una norma che dispone che per ogni missione si possa effettuare una sola operazione di salvataggio? Pertanto, dopo aver soccorso le imbarcazioni in difficoltà, l’Ong non potrà effettuare altri salvataggi e nemmeno potrà realizzare trasbordi da una nave all’altra. Dunque, recuperato un determinato gruppo di profughi la missione va considerata esaurita, quasi fosse scattato una sorta di “numero chiuso” della salvezza possibile.

Una simile volontà governativa di “disciplinamento” può avere una sola motivazione: quella di scoraggiare e interdire la presenza delle navi delle Ong nei tratti di mare dove si concentrano le imbarcazioni dei profughi; e di stravolgere la finalità dell’azione di soccorso, trasformandola in attività di controllo e repressione. Non può essere che questo il senso di una disposizione che impone di fornire “alle autorità di pubblica sicurezza le informazioni richieste ai fini dell’acquisizione di elementi relativi all’accertamento di eventuali ipotesi di reato connesse all’immigrazione irregolare”. Ma anche l’altra attività che sarebbe demandata agli operatori delle Ong (la raccolta delle richieste di protezione umanitaria) è estranea alla finalità del soccorso, come da tempo affermato dalle corti internazionali, e destinata inevitabilmente a produrre infiniti contenziosi.

In altre parole, questo nuovo decreto Sicurezza riproduce l’errore capitale in cui sono incorsi quelli precedenti. Ignora (finge di ignorare) che l’emergenza non è rappresentata dalle Ong e dai loro comportamenti non conformi alla politica dei governi, bensì dalla cifra crudele di quelle morti (circa 2 mila nel solo 2022) che si registrano nel Mediterraneo centrale, anno dopo anno, in una strage infinita e insensata. L’azione delle Ong ha contenuto e ridotto questa macabra contabilità: combatterle ha il solo effetto di incrementare il numero delle vittime.

Nel 1979 il filosofo tedesco Hans Blumenberg pubblicava un breve testo, Naufragio con spettatore, dove rifletteva su quella metafora così cruciale per la civiltà dell’Occidente, che racconta il rapporto tra pensiero e tragedia e tra contemplazione e azione. Ecco, nell’assuefarci a questo ruolo di spettatori, cresce il rischio che si possa diventare complici. Se già non lo si è.


Comitato per il diritto al soccorso